
Il mondo del lavoro si è sempre evoluto insieme all’uomo ma nell’ultimo secolo c’è stata una vera e propria rivoluzione.
Nel panorama manifatturiero mondiale è in corso una rivoluzione industriale del lavoro: quella della digitalizzazione pervasiva dei processi produttivi. Nel corso dell’ultimo decennio i processi produttivi hanno subito un sostanziale cambiamento. Se i paradigmi del passato si basavano su grandi lotti, oggi la produzione si focalizza maggiormente su piccoli stock e un livello di personalizzazione sempre più elevato.
Dati i presupposti di un mercato sempre più globale e dinamico, è maturata la consapevolezza che i modelli produttivi vadano profondamente innovati per raggiungere livelli di efficienza più elevati.
Le prime risposte arrivano dal mondo dall’automazione: maggiore digitalizzazione, dispositivi sempre più intelligenti e sempre più connessi, macchine sempre più evolute e sempre più capaci di interagire con l’uomo.
Quali sono le tappe che hanno trasformato il lavoro da manuale ad automatico?
Le tappe che hanno contraddistinto il trasferimento del lavoro sia manuale che intellettuale dall’uomo alla macchina hanno segnato la storia del progresso tecnologico. Tali fasi posso essere riassunte secondo i seguenti modelli.
- 1. Lavoro prettamente manuale eseguito esclusivamente dall’uomo che realizza l’intero manufatto.
- Carico, scarico, alimentazione e governo della macchina delegati all’uomo mentre la lavorazione vera e propria è delegata all’impianto. Parte dello sforzo fisico viene trasferito.
- L’uomo carica e scarica i pezzi ed esegue la supervisione (avviamento, controlli, cambio utensili, regolazioni, set-up ecc.). La macchina esegue l’intera lavorazione. In questa fase si comincia a pensare di affidare più impianti a un solo operatore al quale viene assegnato il compito di intervenire nelle operazioni principali.
- 4. La macchina scarica i pezzi oltre a eseguirne la lavorazione. L’uomo esegue il carico, la supervisione e il controllo risolvendo le anomalie che si presentano. In questo caso un operatore supervisiona due o più impianti contemporaneamente, per cui si presenta l’opportunità di applicare sistemi poka yoke al fine di ottenere un’eccellente qualità. E’ da notare come la fase di carico presenti criticità legate al posizionamento e bloccaggio dei pezzi (eventuale presenza di bave, trucioli, sporco ecc.) e possa implicare un reale contributo di capacità e di giudizio prettamente umani.
- In questa fase la macchina carica, scarica e individua le anomalie al funzionamento mentre all’uomo è lasciata la soluzione delle stesse. L’autonomia degli impianti è quindi elevata e un operatore può supervisionare molte macchine contemporaneamente dal momento che deve intervenire solo su operazioni non ripetitive e ausiliarie. Si noti però come la professionalità dell’addetto debba essere elevata, specialmente se si tratta di impianti fra loro tecnologicamente diversi.
- Automazione completa. La macchina è in grado di produrre pezzi completi, di individuare le anomalie di funzionamento correggendole di conseguenza (feedback o retroazione), di spostare e trasportare elementi. All’uomo sono assegnati solo compiti di supervisione generale o la soluzione di problemi complessi. Un esempio di ciò può essere quello di un impianto che, misurando il pezzo prodotto, è in grado di modificare autonomamente i parametri per raggiungere la misura e le tolleranze prescritte.
Nella logica lean, normalmente, il modello più idoneo è il numero 4 essendo quello che combina in maniera più coinvolgente e veritiera le capacità umane con quelle tecnologiche.
Il binomio automazione e qualità/affidabilità è stato ed è uno dei temi più interessanti e complessi dello sviluppo tecnologico. Dal momento che la qualità deve essere “costruita”, deve essere intrinseca della lavorazione e, dal momento che la macchina deve produrre in grande autonomia, è assolutamente necessaria una comprovata capacità di “eccedere” le richieste sulle prestazioni qualitative (tornerò in futuro a parlare di questo aspetto introducendo la metodologia Sei Sigma).
Lo stesso concetto vale anche per il materiale che la macchina lavora. Le caratteristiche qualitative di quest’ultimo devono essere tali da minimizzare la “variabilità importata”.
Da questa presentazione si deducono due concetti utili.
- E’ importante individuare e perseguire la separazione fra uomo e macchina.Capire dove e come tale separazione può essere realizzata significa rendere gli impianti sempre più autonomi dall’uomo.
- Trasferire quanto più possibile alla macchina l’intelligenza dell’uomo.In altre parole se la macchina è in grado di “capire” lo stato della produzione (misurando per esempio i parametri che la caratterizzano) potrebbe di conseguenza intervenire e correggere il processo di lavorazione (con parametri di retroazione) garantendo la qualità e l’affidabilità.
Uno degli elementi chiave di questo processo di innovazione tecnologica è forse costituito dalla robotica collaborativa. Un robot collaborativo, o cobot, è un robot leggero, privo di spigoli, talvolta coperto da imbottiture che attutiscono gli effetti di eventuali impatti. Per questi motivi è facile prevederne l’utilizzo in cooperazione con l’operatore umano, da cui – appunto – l’aggettivo “collaborativo”.
La nuova generazione di robot si propone come una soluzione relativamente a basso costo e ad elevato valore aggiunto per chi fa impresa oggi e vuole, al contempo, rimanere competitivo nel proprio mercato. Negli ultimi anni, infatti, il costo medio del lavoro nei paesi dell’est è andato via via crescendo, rendendo di fatto le operazioni di offshoring molto meno vantaggiose rispetto al passato. La disponibilità di macchine tecnologicamente all’avanguardia costituisce un’ottima alternativa.
I robot collaborativi apriranno le strade a nuovi settori del manifatturiero in cui, oggi, la soluzione robotizzata “tradizionale” non è competitiva. Le attività produttive più suscettibili ad essere automatizzate sono quelle a basso valore aggiunto, con un elevato tasso di ripetitività come il confezionamento o l’assemblaggio. Date le premesse sono principalmente due gli interrogativi che ha senso porsi. Ci stiamo avviando verso una produzione completamente automatizzata dove verrà progressivamente a mancare la componente umana? Qual è la leva tecnologica che permetterà alla nuova generazione di robot di insediarsi nel panorama produttivo mondiale?
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